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Il delitto di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen., è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento che, nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare.
Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sent. 31 gennaio 2017, n. 15865.
introduzione degli art. 452 bis e seguenti
Nel 2015, con la Legge n. 68, sono state introdotte all'interno del codice penale nuove fattispecie, che fanno riferimento alle ipotesi di inquinamento e disastro ambientale.
Per la prima volta il codice penale, all'interno del Titolo VIbis, prende in considerazione il bene giuridico ambiente.
Si tratta di un'importante novità, non solo perché il bene ambiente trova disciplina nel codice penale, ma anche perché si inizia a pensare alla tutela della persona umana anche dal punto di vista penalistico.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, l'introduzione dei reati ambientali all'interno del codice penale non è rivolta alla protezione del bene ambiente in quanto tale, ma è rivolta alla protezione del corretto esercizio dell'azione amministrativa.
I reati ambientali hanno, quindi, una funzione servente al corretto esercizio dell'azione amministrativa.
Molto spesso le società che si occupano di servizi in materia ambientale (ad esempio di depurazione delle acque) sottovalutano l'entità del lavoro da essi svolto e la portata di una eventuale condotta "non esattamente conforme a quanto prescritto dalla legge".
Se, quindi, prima della Legge n. 68/2015 i gestori di servizi in materia ambientale potevano farla franca, a partire dall'introduzione della suddetta legge non è più così.
Dal giugno 2010 il proprietario di un fondo confinante con l'impianto di depurazione aveva denunciato al Comune la degradazione dell'acqua e dei terreni, la moria degli alberi di ulivo e delle arance della zona e la presenza di un odore nauseabondo nell'area circostante.
Nel marzo 2011, a seguito della denuncia esposta dal proprietario del fondo di cui sopra, aveva esortatola società che gestiva il depuratore ad intervenire.
Nonostante il Comune avesse fatto richiesta nei confronti della società di intervento per sanare il problema che aveva causato la degradazione dell'acqua e dei terreni e la moria di diverse specie di alberi, nulla era stato fatto.
A causa dell'inadempienza della società che gestiva il depuratore, nel 2013 il Comune diffidava nuovamente la società ad intervenire.
Nello stesso anno il proprietario del fondo aveva effettuato altre analisi che confermavano la presenza di cariche batteriche oltre i limiti consentiti dalla legge.
Passa ancora altro tempo, sino ad arrivare al maggio 2015, quando anche l'ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) siciliana ha effettuato il prelievo di due campioni delle acque superficiali, a monte e a valle.
Dall'analisi svolta dall'ARPA era emerso che lo stato della qualità delle acque a valle dello scarico era peggiorato, era di un colore anomalo e presentava una schiuma non riscontrata, invece, a monte dell'immissione.
Solo nell'aprile 2016 è stato effettuato un sopralluogo al depuratore, e da questo intervento era emerso che non funzionava il sistema di grigliatura elettronica e che mancava un'autorizzazione allo scarico, in quanto la precedente era scaduta e non era stata rinnovata.
Le analisi svolte in quell'occasione hanno permesso di rilevare che numerose sostanze superavano grandemente il valore massimo consentito.
L'insieme dei fattori (numerosità dei fattori inquinanti, superamento dei limiti prescritti, presenza di concentrazioni elevate dei valori nonostante la diluizione e la commissione nelle acque fluenti, etc.) ha fatto sì che lo stato del fiume fosse profondamente deteriorato, contaminato da feci, schiume, e da cui provenivano odori sgradevoli.
Si pensi a quante volte, nel nostro quotidiano, ci troviamo di fronte a situazioni simili, con i fiumi che attraversano le nostre città o campagne le cui acque sono maleodoranti o che, addirittura, sono contaminate da feci.
La condizione degradata in cui versava il fiume era perfettamente misurabile, grazie alle analisi svolte che tengono conto dei parametri-limite, e abusiva, in quanto lo sversamento delle acque reflue era effettuato senza un'autorizzazione.
Nel 2016 il Giudice per le indagini preliminari (un soggetto che interviene nella fase delle indagini preliminari, a garanzia delle stesse) del Tribunale di Catania ha disposto il sequestro dell'impianto di depurazione, situato in un comune del catanese.
Il depuratore era adibito allo scarico di acque reflue urbane e le accuse mosse dal Giudice per le indagini preliminari erano relative al superamento dei valori-limite della presenza di alcune sostanze (Escherichia Coli, Tensioattivi, Azoto ammoniacale, etc.) nelle acque.
Come sappiamo, con l'introduzione del Titolo VIbis all'interno del codice penale è stata potenziata l'attività di indagine.
Infatti, viene punito chiunque abusivamente provoca deterioramento o compromissione, che devono essere significativi e misurabili.
Ma cosa si intende con l'utilizzo dell'avverbio "abusivamente"? Il riferimento al carattere abusivo del deterioramento o della compromissione vanno intesi nel senso che attraverso la condotta di inquinamento si eccedono i limiti che sono posti dall'autorizzazione.
Come visto in precedenza, infatti, le disposizioni introdotte all'interno del Titolo VIbis del codice penale non sono poste a tutela del bene giuridico ambiente in sé, ma sono poste a tutela del corretto esercizio dell'azione amministrativa, e, quindi delle autorizzazioni.
I concetti di deterioramento e compromissione sono due concetti distinti e separati.
Il deterioramento è meno grave della compromissione.
I caratteri della significatività e della misurabilità del deterioramento e della compromissione sono anch'essi due concetti distinti e separati.
La misurabilità fa riferimento ad un apprezzamento di tipo quantitativo; la significatività, invece, fa riferimento ad un apprezzamento di tipo qualitativo, e quindi è caratterizzata da poca oggettività.
Poichéil Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania riteneva che fosse stato commesso il reato di inquinamento ambientale, disciplinato dall'art. 452 bis cp, aveva disposto il sequestro preventivo di un impianto di depurazione situato nel catanese.
Il legale rappresentante della società addetta alla gestione dell'impianto di depurazione aveva richiesto il riesame del decreto attraverso il quale era stato disposto il sequestro dello stesso, ma il Tribunale di Catania aveva respinto la richiesta di riesame.
La società che gestiva l'impianto di depurazione aveva deciso così di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, basandosi su tre motivi diversi.
Il primo motivo di ricorso sollevato dalla società ricorrente aveva ad oggettole condotte che, secondo il Tribunale di Catania, avrebbero aperto l'ipotesi all'applicazione dell'articolo 452 bis del codice penale erano state tenute in periodi antecedenti all'introduzione dello stesso articolo nel codice. Infatti, le condotte erano state tenute tra il 2010 e il 2015, in un periodo precedente all'emanazione della Legge 68/2015, che ha portatonel codice penale gli articoli 452 bis e seguenti.
Il secondo motivo sul quale faceva leva il ricorso era riferito alla destinazione del depuratore. Infatti, l'impianto in questione era utilizzato per lo scarico di acque reflue urbane.
Secondo la società ricorrente, anche se questi scarichi fossero stati qualificati come "industriali", il superamento dei valori-soglia non farebbe rilevare la condotta dal punto di vista penale. Mancava, sempre secondo quanto affermato dai ricorrenti, la prova della presenza di sostanze tossiche in quantità elevate tanto da compromettere le acque e il suolo circostante.
Il deterioramento, che rappresenta una delle condotte attraverso le quali si verifica il reato di inquinamento ambientale deve essere valutato tenendo conto dell'uso che si fa dell'acqua. In questo l'acqua aveva un uso diverso dal consumo umano e dalla irrigazione, e quindi la presenza di sostanze tossiche non può rilevare ai fini del deterioramento delle acque stesse, in quanto le concentrazioni non erano ancora state fissate dall'autorità competente.
Il terzo motivo di ricorso, infine, faceva riferimento alla inesistenza del periculum in mora, inteso come il possibile danno che potrebbe essere cagionato ad un diritto, per il quale era stato richiesto il sequestro preventivo dell'impianto di depurazione.
La Suprema Corte di Cassazione, nella sua decisione, dichiarava infondato il ricorso proposto dalla società che gestiva il depuratore.
Proclamando l'infondatezza del ricorso presentato dalla società ricorrente, la Suprema Corte richiamava alcune sue recenti pronunce in materia di inquinamento ambientale.
La S.C. specifica che la condotta abusiva, di cui all'art. 452 bis c.p. è non solo quella tenutain mancanza delle autorizzazioni che sono necessarie, o sulla base di autorizzazioni scadute o illegittime. Si parla di condotta abusiva anche nel caso di condotte che vengono poste in essere violando leggi statali o regionali (anche se non riguardano espressamente la materia ambientale) o di prescrizioni amministrative.
La Corte provvede anche a dare una definizione di compromissione e deterioramento, che sono causate da ragioni diverse. La compromissione è dovuta ad uno squilibrio di tipo funzionale, che incide sui processi naturali dell'ecosistema. Il deterioramento è dato da una condizione di squilibrio strutturale, legato al decadimento dello stato o della qualità dei processi naturali dell'ecosistema.
Sia che si parli di compressione, sia che si parli di deterioramento, ciò è sufficiente perché possa applicarsi la disciplina prevista dall'art. 452 bis c.p.
Per la Suprema Corte non è rilevante l'eventuale reversibilità del fenomeno inquinante. La reversibilità o meno, di cui in precedenza, servono solo per distinguere il delitto di inquinamento ambientale, disciplinato dall'articolo in esame, dal delitto di disastro ambientale, disciplinato dall'art. 452 quaterc. p.
Deterioramento e compromissione sono concetti diversi dalla distruzione.
Questi due, a differenza della distruzione, presentano delle caratteristiche di rimediabilità
La S.C. precisa che il reato in questione è senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato.
Anche senon è irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Da questo punto di vista il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorchè non irreversibile) è insita nella loro natura.
La ridotta utilizzazione del corso d'acqua in conformità alla sua destinazione quale conseguenza della condotta è perciò già sufficiente a integrare il "danno" che la minaccia della sanzione penale intende prevenire.
Per potersi parlare di inquinamento ambientale non è richiesta l'irreversibilità del danno. Fino a quando l'irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere dopo l'inizialedeterioramento o compromissione non costituiscono post factum non punibile.
È quindi possibile deteriorare o compromettere quello che lo è già, fino a quando il deterioramento o la compromissione non diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze previste dall'art. 452 quater c.p.
Il ricorrente aveva fatto leva sulla tesi delle "tutele crescenti" e dell'insussistenza del reato nel caso di irrilevanza penale del singolo scarico come premessa del ragionamento secondo cui sarebbe assurdo recuperare la suddetta irrilevanza utilizzando la norma incriminatrice in questione.
È un errore considerare penalmente irrilevante la condotta in questione. Questa tesi restringerebbe, di fatto, la natura "abusiva" della condotta ai soli casi in cui la causa dell'inquinamento costituisca condotta di per sè già penalmente sanzionata. Sarebbero, quindi, esclusi tutti i casi in cui la sanzionata a livello amministrativo o anche solo vietata o comunque posta in essere in contrasto con le norme e le prescrizioni che disciplinano la singola attività "causante".
Di fondamentale importanza è la sussistenza del nesso causale tra le violazioni, che rendono tipica la causa, e l'evento.
Quando la causa è attribuita agli scarichi non conta, quindi, la rilevanza penale di ciascuno di essi. Quello che conta è l'evento, il quale deve essere legato ad una condotta (commissiva o omissiva) posta in essere violando la legge.
La tesi delle cd. "tutele crescenti", cui ha fatto riferimento la parte ricorrente, è metodologicamente e dogmaticamente errata.
Questo perché essa limita il reato ai soli casi in cui la condotta "causante" sia autonomamente e penalmente sanzionata, e anche perchè conduce all'assurda conseguenza che se non c'è pericolo (data la assenza di scarichi penalmente rilevanti) non ci può essere danno.
Sicchè la polarizzazione dell'attenzione sulla sola condotta elimina, sul piano concettuale, l'evento realmente manifestatosi e da essa provocato, trasformando di fatto un reato di evento in un reato di mera condotta.
Nel caso concreto il carattere abusivo è stato individuato dal Tribunale di Catania nel fatto che il depuratore era privo dell'autorizzazione allo scarico, e ciò a prescindere dal superamento dei valori-limite delle sostanze appositamente indicato.
La sentenza di cui si è parlato nei paragrafi precedenti è di fondamentale importanza per la introduzione di un'apposita disciplina penale in materia ambientale.
Oltre a rilevare la fondamentale importanza della vicenda in questione, è importante sottolineare quella che è una caratteristica tipica della disciplina penale in materia ambientale, contenuta all'interno del Titolo VIbis del Libro Secondo del codice penale. La caratteristica fondamentale di questa disciplina, come già affermato in precedenza, è il fatto che alla base della tutela giuridica posta in essere dalle disposizioni penali non c'è il bene giuridico ambiente in sé e per sé, ma c'è il corretto esercizio dell'azione amministrativa.
La disciplina penale in materia ambientale, quindi, funge da supporto all'azione amministrativa, ed interviene non già in via preventiva (cosa che non potrebbe mai essere in materia penale), ma in via successiva, quando è stata già consumata la violazione di una norma di tipo amministrativo.
Nel caso in questione, abbiamo visto come non è necessaria l'irreversibilità per potersi parlare di inquinamento ambientale. Sono sufficienti il deterioramento e la compromissione, e, qualora si verifichi uno stato di irreversibilità del danno, non sarà applicabile la disciplina di cui all'art. 452 bis c.p., ma quella contenuta all'interno dell'art. 452 quater c.p., che fa riferimento all'ipotesi di disastro ambientale.
La sentenza analizzata è molto recente, ed è possibile che non ci siano ancora dei successivi.
Tuttavia, non è molto difficile fare riferimento, a casi di cronaca. Basti pensare, ad esempio, alle battaglie condotte da associazioni per l'ambiente per i fiumi Tevere di Roma e Aniene.
Pur non trovandoci dinanzi alle fattispecie di cui all'art. 452 c.p., i fenomeni di inquinamento delle acque destano l'attenzione dell'opinione pubblica.
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